Nella fotografia di Mauro Gambicorti, intitolata Croci sul lavoro, l’elemento più potente è l’immediato richiamo alla figura del Cristo in croce, avvolto da un reticolo di tubi e impalcature che evocano cantieri e lavori in corso. Questa sovrapposizione visiva e concettuale – il Sacrificio supremo della tradizione cristiana e le condizioni di chi lavora – propone un cortocircuito simbolico denso di significati: il dolore, la solitudine e il silenzio di chi patisce condizioni di lavoro estreme risuonano con l’iconografia della Passione, ricordandoci quanto la sofferenza dei lavoratori e le morti bianche siano un tragico filo rosso che attraversa la storia industriale e postindustriale.
Il riferimento al sacrificio è immediato: la croce, emblema di sofferenza, rimanda al “peso del lavoro” e alla necessità di riscatto di chi, nelle fabbriche, nei cantieri o in quei nuovi mestieri “a tempo” e senza paracadute sociale, non ha voce.
Nella sua opera La chiave a stella (1978), il grandissimo Primo Levi mette in luce la dignità di un operaio specializzato, ma denuncia, al contempo, anche la condizione di precarietà e fragilità che caratterizza la vita di chi è esposto al pericolo ogni giorno. Il passo alle morti sul lavoro, cui prepotentemente la foto rimanda, è presto fatto: questa icona sacra assurge a simbolo di chi muore a causa di ritmi sfiancanti, turni massacranti o scarsa attenzione alla sicurezza, così come descritto in tanta letteratura e tanta cronaca.
Il Cristo a braccia aperte sembra invitare ad una riflessione collettiva e urgente. È un messaggio doloroso ma necessario, che ci obbliga a fare i conti con la realtà di troppe “croci”, ma anche con il pesante silenzio e con l’incapacità di controbattere che spesso ne consegue. E’ possibile sintetizzare nell’espressione “agonia dei nostri tempi” quello che per Pier Paolo Pasolini era il torpore sociale, una forma di alienazione in cui le persone, in particolare i lavoratori, non sono più capaci di reagire alle ingiustizie o di mobilitarsi per cambiamenti significativi, storditi dal consumismo e dai mass media.
In questo senso, invece, Croci sul lavoro è un richiamo all’impegno concreto. La fotografia, di matrice concettuale e dall’altissima capacità evocativa, si fa oggetto di denuncia sociale e, al contempo, stimolo per un cambiamento culturale e sprone verso una diversa consapevolezza. La potenza dell’iconografia cristiana amplifica profondamente il suo significato, a prescindere dalla fede, in virtù del bagaglio culturale collettivo, quando viene connessa a realtà tangibili anziché rimanere nell’ambito del trascendente. Nella fusione tra l’umanissimo dolore e la sacralità della Croce, Gambicorti risolleva l’urgente interrogativo sul valore della vita umana: quanto sangue verseremo ancora prima di accorgerci che nessun sistema economico giustifica l’ingiustizia più grande, quella della morte di un lavoratore?